martedì 16 febbraio 2010

Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo - di Carlo Petrini


Terra con la "T" maiuscola, pianeta in cui siamo nati, che ci ospita e messo recentemente da noi stessi in pericolo; terra con la "t" minuscola, con cui sporcarsi le mani, fonte di cibo, di reddito, di rendita (è il terzo investimento più redditizio dopo il mattone e i titoli di stato secondo Coldiretti), di sovraproduzione, di impatto ambientale e sociale.

Questi sono alcuni dei temi che si incrociano nel libro di Carlo Petrini, fondatore prima di Arcigola divenuta poi Slow Food (di cui è presidente internazionale), personaggio ormai famoso anche al grande pubblico, rientrato nel 2008 (unico italiano) nell'elenco stilato dal quotidiano inglese The Guardian "tra le 50 persone che potrebbero salvare il mondo".

E i contenuti di questo bel volume (in particolare nella sua seconda parte) sono proprio indicazioni di un percorso per cambiare modello di sviluppo, per cambiare l'economia e renderla più ecologica. Terra Madre, nata pochi anni fa, è la rete mondiale delle comunità del cibo, composta da un insieme di reti fatta da persone che «nei diversi territori del mondo lavorano giorno per giorno per un nuovo modello economico, agricolo, alimentare e culturale». E' la messa in pratica di quello che è stato definito "glocalismo", «un insieme di azioni su scala locale con l'obiettivo di avere importanti ripercussioni a livello globale». Questi temi, aggiungendo la necessita di un nuovo modello industriale, sono quelli di cui quotidianamente si occupa e rende notizia greenreport.

Petrini nella prima parte del volume racconta la storia di questo "soggetto di soggetti" riunito per la prima volta nel 2004, ne tratteggia le peculiarità delle sue tante identità provenienti da tutto il mondo e non solo da ambiti rurali, unite dal fatto di essere produttori e co-produttori (cioè quelli che mangiano il cibo della comunità) e non consumatori termine legato al sistema agro-industriale globale dove, secondo l'autore, non è "l'uomo che mangia il cibo" ma "l'uomo è mangiato dal cibo".

«Il cibo ci mangia perché mangia la terra, le sue risorse, la sua possibilità di rinnovarsi. E siccome non siamo un corpo estraneo alla Terra, ma siamo un elemento come tanti altri inseriti nella Natura, siamo anche noi mangiati dal cibo».

Le contraddizioni legate al mangiare e al cibo sono evidenziate dall'autore che sottolinea come fame nel mondo, malnutrizione, obesità e diabete siano facce della stessa medaglia, mentre richiesta di maggiore qualità in tutta la filiera alimentare e sobrietà siano aspetti direttamente collegati, in un contesto dove il piacere per il cibo è un diritto democratico (e non elitario) e come tale deve essere alla portata di tutti. Questi ultimi sono i fondamenti della nuova gastronomia pensata e praticata da Petrini insieme ai soggetti di Terra Madre: si intuisce la portata "rivoluzionaria", il cambio di paradigma, che alla sta alla base di questi concetti quando specialmente si devono mettere in pratica.

Quando in un qualsiasi settore si arriva a fare una proposta alternativa rispetto al quadro esistente, è necessario a monte fare una corretta analisi per evitare di incorrere in errori. Gli aspetti critici Petrini li tocca più o meno tutti. A partire dal mutamento del valore del cibo, che trasformato in merce deve avere costi sempre più bassi, cibo trasformato in bene «di consumo tout court, spogliato di tutti suoi valori materiali, culturali spirituali: il sistema che gli è stato costruito intorno, o in cui stato inserito, ha sostituito il suo valore con il prezzo».

I prezzi bassi e il valore ridotto favoriscono sprechi altissimi: in Italia, secondo una ricerca del Banco alimentare citata dallo stesso autore, ogni giorno vengono buttate 4000 tonnellate di cibi edibili (dato 2007). La produzione di cibo in eccedenza (secondo dati Fao al mondo si produce cibo per 12 miliardi di persone) fatta in modo industriale è causa di impatti sull'ambiente.

L'agricoltura intensiva inquina suoli ed acque, la sovraproduzione e la distribuzione centralizzata porta alla continua crescita degli imballaggi, ma tanto i costi ambientali anche nella filiera agroalimentare sono esternalizzati. Inoltre questo tipo di agricoltura, dove la quantità di produzione ed omegenizzazione sono punti cardine della filiera, può apparire un paradosso ma non ha riscontri positivi in termini occupazionali, anzi si è portata via i lavoratori della terra che nei Paesi occidentali non raggiungono percentuali del 10% della popolazione.

I temi affrontati da Petrini sono molti (dalla biodiversità, alla questione dei brevetti e privatizzazione delle sementi, agli Ogm, alla sostenibilità o meno dei biocarburanti, alla necessità di accorciare le filiere...), di estrema attualità, alcuni dei quali necessitano ancora di approfondimenti. La strada indicata dall'autore per la riacquisizione della "sovranità alimentare", per tornare a mangiare il cibo ed evitare di esserne mangiati, è quella del cambio di paradigma con il ritorno all'economia locale più vicina all'economia della natura, che garantisce uguaglianza, accesso per tutti al cibo (e all'acqua) di qualità, ed è quindi sostenibile.

All'obiezione che a qualcuno può venire in mente facciamo rispondere direttamente l'autore: «I sistemi di economia locale non sono chiusi. L'apertura dei sistemi è una necessità fondamentale se non si vuole che il tutto crolli e che l'idea di economia locale si riveli buona solo sulla carta. L'esperienza di Terra Madre ha dimostrato che le economie locali si rafforzano e assumono maggior significato nel momento in cui si strutturano come una rete, nel momento in cui diventano nodi che comunicano tra loro, che scambiano, che consentono alle persone di muoversi». La vera cooperazione promossa da Slow Food (alcuni progetti sono sostenuti anche dalla Regione Toscana), è un esempio di globalizzazione sostenibile.

Come si intuisce da questa sintesi dei temi il cammino proposto da Petrini e dal soggetto politico Terra Madre è di lungo respiro. Il cortocircuito registrato con la crisi globale (economica, finanziaria, sociale, ambientale) che stiamo vivendo, fornisce energia a favore di questo processo di ritorno all'economia reale e democratica. Però i segnali di restaurazione e normalizzazione in corso confermano che la malattia auto degenerativa del sistema è in stato avanzato. Al senso di responsabilità di chi governa, della collettività e di ognuno di noi è affidata la speranza.

«L'economia significa il modo in cui governiamo la nostra casa e, se la pensiamo globale, altro non è che la Terra: se i criteri economici non sono guidati da un pensiero ecologico, non c'è una buona amministrazione della casa... Bisogna ripensare l'economia, cambiare i criteri che la guidano, mettendo al centro la nostra casa, la Terra».


http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=3400&lang=it

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